Una delle subculture più famose è sicuramente il cyberpunk.
Figlia della fusione tra il concetti di avanzata tecnologia e di società distopica, da decine di anni ha invaso letteratura, film e videogiochi, ritagliandosi così un posto sul podio dei movimenti culturali più apprezzati.
L’incrocio tra l’inseguimento di una ribellione individuale e la ricerca di una identità in un mondo iperconnesso e alienante sono solo alcuni dei temi più noti di questo genere.
Caratteristiche
L’avvento dell’informatica ha portato a chiedersi quali sarebbero state le conseguenze di un suo uso massiccio. Con la creazione dei primi esemplari di robot, anche giocattolo, che pian piano hanno cominciato a far parte della vita quotidiana di tutti noi, a questa domanda si è affiancata quella sulla natura dell’essere umano. Se, inoltre, andiamo ancora più indietro nel tempo, scopriamo che le persone avevano già fantasticato su come un’integrazione uomo-macchina avrebbe potuto cambiare il mondo.
Nel cyberpunk si esplora tutto quello che è tecnologico. Questo si riflette anche a livello estetico, ovviamente: le ambientazioni ricche di luci, così tanti palazzi da sembrare infiniti che toccano i cieli e cavi elettrici conferiscono ai setting cyberpunk un’aspetto futuristico, ma anche incentrato sul decadimento e sull’abuso delle reti informatiche. Nel cyberpunk, infatti, gli esseri umani sono collegati, connessi, eppure inevitabilmente soli.
E se una forma di alienazione arriva dalla tecnologia, anche il tema della perdita del proprio “io” a scapito del potere delle corporation è spesso uno dei temi principali. L’idea della perdita della privacy e della propria identità sfidano proprio le norme sociali dove l’essere umano è un ingranaggio sostituibile in una macchina abbracciate dall’estetica futuristica, e fanno riflettere sulle implicazioni etiche e politiche di un futuro incerto e dominato dalla tecnologia sempre più onnipresente.
La New Wave
Il movimento cyberpunk ha visto la luce grazie a un’altra subcultura, la “New Wave”, nata tra il 1960 e ’70, grazie allo scrittore inglese Michael Morrcock che, dopo aver preso le redini della rivista fantascientifica britannica “New Worlds”, divenne un vero e proprio punto di riferimento delle tendenze sperimentali e fantascientifiche del periodo.
A differenza della fantascienza, al tempo già presente ma considerata superata e priva di ambizione, che si concentrava principalmente su come la scienza avrebbe traformato il mondo all’esterno, l’approccio della rivista si focalizzava più sull’aspetto interiore, psicologico, e sulla violazione dei tabù, e aveva lo scopo di esplorare maggiormente la mente umana.
Da questo punto di partenza è poi nato il concetto di entropia vista in chiave cyberpunk, utilizzata spesso come metafora per rappresentare il caos, una decadente disintegrazione sociale portata dall’era tecnologica. Le megalopoli distopiche la cui popolazione non smette mai di crescere accompagnano sempre lo sgretolamento della società e delle sue fragili strutture politiche, tutto questo mentre la tecnologia avanza.
Il prezzo pagato per l’iperconnetività e l’alienazione umana sfidano il concetto di “sopravvivenza” in un mondo che apparentemente dovrebbe essere migliore, ma che invece porta ad una realtà caotica e imprevedibile.
Nonostante non si possa associare al cyberpunk un preciso anno di nascita, possiamo risalire alla nascita del termine: il termine cyberpunk fu il titolo di una breve storia di Bruce Bethke, pubblicata nel 1980, che venne poi resa famosa tramite vari editori.
Bethke voleva trovare un nome per questa sua idea che fondeva il punk alla tecnologia, così fuse un termine che si riferiva alla tecnologica (cyber) e uno comunemente usato per indicare persone note come dei “combina guai” (punk). Fu così che questa famosa subcultura ottenne il suo nome.
Il contributo di Bethke a questa subcultura non si ferma però al nome. Nei suoi racconti, infatti, ricorre spesso l’idea distopica dei bambini del futuro che avrebbero minacciato l’autorità degli adulti cresciuti senza la tecnologia che non avrebbero mai potuto capire il “linguaggio dei computer” dei propri figli, e degli adolescenti sempre più inclini all’isolamento e al voler distruggere i computer stessi.
L’impronta Del Giappone Nel Mondo Cyberpunk
William Gibson disse che il Giappone moderno era il vero cyberpunk, e proprio grazie alla sua famosa opera “Neuromante”, l’autore Masamune Shirow avrebbe poi creato una delle saghe più famose di sempre: “Ghost in the Shell”. Questa iconica serie manga e anime esplora i temi dell’identità in un mondo futuristico e ha avuto un impatto duraturo sulla cultura pop e del cyberpunk.
Nel 1982 vi fu il debutto di una delle serie di maggior successo di questo genere, “Akira” di Katsuhiro Otomo, prima nata come manga e poi adattata per il cinema nel 1988. Il film fu diretto da Otomo stesso.
L’uscita di “Akira” fu seguita da un’ondata di idee rivoluzionarie che si diffuse per tutto il Giappone, ma non solo. Altre serie avrebbero poi seguito il suo esempio diventando famose a livello globale, come “Cowboy Bebop”, che tra intelligenza artificiale ed etica tecnologica affronta gli interrogativi sulla realtà in una società sempre più alienata.
Tra le serie d’animazione cyberpunk più famose vi sono:
- Neon Genesis Evangelion
- Paprika
- Battle Angel Alita
- Ergo Proxy
- serial experiments lain
L’influenza culturale che ha avuto il cyberpunk si vede anche nei videogiochi, come il noto “Final Fantasy VII”, la cui animazione e letteratura ha permesso l’esplorazione complessa della dinamica tra società e tecnologia in una realtà dominata dalla rapida modernizzazione.
La riflessione tra la tensione conflittuale tra la tradizione che ha sempre accompagnato il Giappone contro la modernità in continuo aumento è tutt’oggi fonte di discussioni riguardanti i limiti dell’etica tecnologica.
Il ruolo cruciale svolto dal cyberpunk ha saputo consolidare la sua importanza nella riflessione critica nella cultura giapponese, divenendo uno dei temi fiction più importanti di sempre.